Domenica Luigi Di Maio, vice presidente del consiglio con delega alle telecomunicazioni, in un post sul blog del movimento cinque stelle aveva scritto che “le televisioni tradizionali hanno i giorni contati, ma la prossima Netflix può essere italiana” in cui preconizzava la fine di una certa televisione con cui intere generazioni sono cresciute. Tesi poi sostenuta su Facebook anche da Davide Casaleggio che ha scritto “se aspettiamo di vedere il futuro arrivare, arriverà dall’estero. Dobbiamo iniziare a costruirlo noi. Il caso dell’industria dei media italiana è emblematico. Ha aspettato arrivasse Netflix per preoccuparsi di innovare il proprio modello di business. Dobbiamo pensare all’innovazione non quando è ormai inevitabile, ma quando è possibile. Ora lo è”. Entrambi gli esponenti del M5S spingono l’industria dei media a cercare strade nuove per conservare quote di mercato sempre più in bilico per le nuove piattaforme, i nuovi player ma soprattutto per i nuovi modelli di business.
Poco fa a ribaltare questi tesi ci ha pensato Lorenzo Sassoli de Bianchi, durante l’annuale assemblea dell’Upa, gli investitori pubblicitari, il quale non solo ritiene “la tenuta della televisione generalista come indiscutibile centralità per l’affermazione del valore di marca” ma rilancia con “i recenti accordi di scambio di contenuti tra la televisione commerciale e i broadcaster satellitari che daranno nuova linfa agli investimenti su questo mezzo”. Certo l’Upa non trascura le novità in atto tanto che il presidente vede che “l’accesso alle offerte in streaming sta cambiando i comportamenti sulle piattaforme televisive: si è dissolta la seconda serata, l’access prime time è diventato prime time e il palinsesto sta perdendo la funzione di orologio sociale e aggregante identitario di ritualità e consuetudini”.
Nelle sue conclusioni Sassoli, parlando a centinaia di rappresentanti del mondo delle imprese, centri media, agenzie, authority, associazioni, editori e broadcaster, individua nel 2018, contro ogni cassandra, il quarto anno consecutivo di crescita con un incremento dell’1,5% degli investimenti in pubblicità.