L’articolo di Isidoro Trovato sul Corriere della Sera del 2 luglio sull’azienda leader del dolciario da ricorrenza ha il merito di fotografare molto bene la situazione del comparto. Nel corso del Novecento il dolciario ha avuto una parte significativa nella crescita dell’agroalimentare italiano e sono numerosi i brand che storicamente si sono affermati e hanno sedimentato un precipuo sistema di valori. Ma, nel passaggio tra i due secoli, il comparto ha sempre più evidenziato delle crepe frutto in parte di modelli di consumo diversi e più salutisti e in parte della concatenazione di molteplici cause. Nell’articolo del quotidiano milanese emerge la volontà del nuovo amministratore delegato di Bauli, Fabio Di Giammarco, di diversificare il perimetro produttivo e distributivo dell’azienda di Castel d’Azzano. Bauli sarebbe pronta a diversificare i prodotti, sperimentare nuovi canali distributivi e nuovi mercati di vendita. Come dire, a rivoluzionare il proprio business nel passato fortemente concentrato sulla ricorrenza. Oggi i dolci da ricorrenza rappresentano circa il 40% dell’intero giro d’affari del gruppo veronese pari a 550 milioni di euro nel 2022 ma in futuro tale quota sarebbe destinata a contrarsi ulteriormente. D’altra parte il desiderio della famiglia Bauli di modificare il proprio business è proprio rappresentato dalla scelta del nuovo ad che conosce bene l’industria alimentare e i mercati internazionali.

La ricerca dei nuovi prodotti, dei nuovi canali di distribuzione e dei nuovi mercati di vendita rappresentano quei perimetri fondamentali in cui si concretizzano da sempre gli studi di economia e gestione delle imprese. Ma se un’azienda leader di mercato decide di modificarli contemporaneamente rende evidente l’irreversibilità della crisi del business. Nella fattispecie l’intero comparto dolciario. Certo Bauli proporrà nuovi snack, nuovi gelati e così via per sostenere il proprio processo di sviluppo ma le aziende con fatturato minore sono chiamate a metabolizzare velocemente il riorientamento strategico dei leader di mercato visto che il livello debitorio e l’andamento della redditività ha già spinto alcune di loro a trasferire quote del proprio capitale ai fondi di investimento o a cercare coraggiosi acquirenti. Non si tratta ovviamente di ridursi a tipiche aziende followers ma di cogliere consapevolmente il mutato contesto socio-economico. Per l’Italia è in gioco la sopravvivenza di tanti prestigiosi e storici brand dell’agroalimentare.