A distanza di giorni l’intervista di Paola Gregorio a Vito Crimi (nella foto) apparsa il 4 luglio sul quotidiano La Verità continua a far parlare di sé. Il senatore pentastellato che come sottosegretario alla presidenza del Consiglio ha la delega all’Editoria durante l’intervista ha affrontato molti punti mostrando sicurezza sui temi della riforma del settore che presenterà al più presto. Ma andiamo con ordine. Crimi ha esposto il suo primo provvedimento che consisterà nell’abolizione dell’obbligo per le pubbliche amministrazioni di pubblicare gli avvisi di gara e aggiudicazione sui quotidiani. La misura vale circa 50 milioni di euro di risparmi per le imprese o di mancati incassi per la stampa regionale e nazionale. Milioni che servono a sostenere i malandati bilanci della carta stampa italiana. Altrettanta sicurezza il senatore palermitano ha mostrato sulla riforma dell’editoria che poggerà sul sostegno pubblico a start up, a progetti innovativi e giovanili e ai progetti di rinnovamento tecnologico dei prodotti più tradizionali. Il piano esposto dal sottosegretario sembra pendere più dalla parte della Rete e non della carta stampata.

La risposta più pungente è arrivata il giorno successivo da parte di Mario Calabresi, direttore de la Repubblica, che si chiede se Crimi abbia “a cuore la libertà di stampa”. Calabresi nel suo editoriale si sofferma su due dati: l’Italia è al 46esimo posto nella classifica della libertà di stampa per le perduranti condizioni di intimidazioni ai cronisti quali le querele che politici e uomini d’affari usano sempre più di frequente e la diffamazione a mezzo stampa che nel Belpaese è ancora un reato penale. Il direttore di Repubblica ricorda al sottosegretario all’Editoria le preoccupazioni di Reportes sans frontieres sulla vittoria politica del Movimento 5 stelle che nel passato ha condannato il lavoro della stampa e identificato finanche i giornalisti critici. Insomma Calabresi non le manda a dire ed affronta direttamente Vito Crimi.

In un discorso più ampio sull’editoria dovrebbe rientrare anche la situazione della Rai con i suoi 13mila dipendenti di cui 1760 giornalisti e con le sue otto diverse testate giornalistiche, una struttura elefantiaca mantenuta in piedi anche grazie al canone annuo imposto ai cittadini che frutta circa 1,8 miliardi di entrate e che attira da sempre gli strali delle televisioni commerciali, a partire da Urbano Cairo che, proprio nel giorno della presentazione dei nuovi palinsesti de La7, ha lanciato nuove stoccate alla tv pubblica. Inoltre proprio ieri l’attenta Milena Gabanelli sul Corriere della Sera precisava che “nel mondo nessuna tv pubblica ha tanti telegiornali nazionali” quanti la Rai. Francamente il Tg1, Tg2, Tg3, TgR, Rainews24, Rai Parlamento, Rai Sport e Il Giornale Radio appaiono eccessivi visto che la nota BBC, emittente pubblica britannica che diffonde le sue trasmissioni in tutto il mondo, ne ha solo uno, BBC news.

Per dirla con un recente articolo di Riccardo Ruggeri su ItaliaOggi che fine faranno le 11 mega navi del giornalismo italiano e le piccole barche che tenacemente insistono nel perimetro?  Non solo l’ordine dei giornalisti ma anche la Fieg con Andrea Riffeser Monti, il nuovo presidente eletto appena tredici giorni fa, dovranno cercare di portare le ragioni della stampa nei progetti del M5S e di Crimi.