Occhi puntati sul Def, il consueto documento di politica economica, con cui il governo Gentiloni punta a risolvere tanti problemi e ad inseguire l’agognata ripresa.
Ne parliamo con Ganpiero Samorì, avvocato, professore, banchiere e presidente del MIR (Moderati in Rivoluzione), che ieri a Roma è intervenuto nel workshop “Banche salvate, cittadini condannati”.
Su Affaritaliani.it Antonio Corvino, il direttore generale Osservatorio Banche Imprese, sostiene che Gentiloni con il Def “è ben lontano dall’invertire la tendenza e far correre il Pil”. La crescita non si innesca con l’alleggerimento del costo del lavoro e del carico fiscale, storico mantra della Confindustria, ma con gli investimenti innovativi. Che ne pensa?
Sono perfettamente d’accordo, con alcune precisazioni. La crescita ha bisogno di anticipare i settori che nel futuro avranno un forte sviluppo e non di una serie di prebende a pioggia. E’ successo così all’inizio del 900 quando l’Italia anticipò il futuro nel settore delle auto rispetto ad altre Nazioni e su questa anticipazione ha prosperato per 60 anni. Per portare un esempio, oggi anticipare il futuro vuol dire comprendere l’importanza della qualità del territorio e perciò far ripartire l’industria dell’edilizia non per costruire nuove case ma per demolire quelle inutili esistenti e riqualificare il territorio riattivando così la nostra industria e rendendola competitiva sul piano internazionale in un settore che tutte le Nazioni dovranno considerare. Anticipare il futuro vuole anche dire investire sull’istruzione perché il futuro ha comunque bisogno di risorse più qualificate in grado di conoscere le principali lingue e così via. In pratica noi saremo fra 20 anni quanto investiamo oggi sulla formazione culturale e tecnica dei giovani.
Per Bankitalia in dodici mesi i finanziamenti alle imprese sono crollati di ben 12 miliardi di euro. Crescono invece i crediti al consumo e i mutui alle famiglie. Come fanno dunque le aziende italiane ad investire se i banchieri prediligono le famiglie? E paradossalmente oggi le banche più virtuose possono finanziarsi addirittura a tassi negativi.
Il tema è molto complesso e parte dall’errore che abbiamo fatto nell’accettare i criteri di Basilea 3 che sono incompatibili con il nostro sistema economico e bancario. La gran parte delle nostre aziende, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni, ha rating assai modesti e l’erogazione del credito brucerebbe nelle banche troppo capitale di cui, al momento, non abbondano. Siamo perciò entrati in un circuito pernicioso. Le Banche riducono il credito, le aziende defaultano producendo nuove sofferenze che bruciano ulteriore capitale delle banche. Le quali si difendono riducendo ulteriormente i finanziamenti alle imprese. Può crescere significativamente il PIL in questa situazione?
Certo, le banche fanno quello che possono. Qualche giorno fa Christine Lagarde, direttore generale del Fondo monetario internazionale, ha richiamato l’attenzione sui crediti deteriorati delle banche del Sud Europa. Se non si supera questa debolezza la prospettiva di ripresa si allontana.
Sì sono d’accordo con Lagarde ma con una necessaria precisazione. L’esplosione dei crediti deteriorati è dovuta in buona misura all’introduzione di regole che l’Italia ha accettato pur essendo insostenibili per la nostra economia. Le banche per 50 anni, per lo più sbagliando, hanno concesso credito sulla base di garanzie immobiliari. In un momento di crisi del settore pretendere una valutazione a pronto realizzo di detti crediti porta ad una ulteriore depressione del valore degli immobili e quindi accresce il disastro dei crediti deteriorati. Occorreva concedere ad un sistema costruito come il nostro almeno 5 anni di tempo per dare soluzione al problema. Pretendendo nello stesso momento sia l’adozione di serie ristrutturazioni sia la drastica riduzione degli ormai insostenibili compensi delle dirigenze apicali. Ammesso che con la bacchetta magica sia possibile risolvere il problema dei crediti deteriorati, se il conto economico delle banche continuerà ad essere strutturalmente negativo, il problema della ripresa del credito non potrà mai avere soluzione.
Come e in che misura il potere finanziario internazionale influisce sulla vita dei cittadini e delle famiglie?
E’ intuitivo che il potere finanziario internazionale possa influire sulla vita dei cittadini e delle famiglie e in modo anche rilevante. Basti pensare che su un debito pubblico di 2300 miliardi circa l’aumento dello spread sul debito pubblico di un punto costa a regime 23 miliardi. La scelta dei grossi gruppi finanziari internazionali di abbandonare l’Italia e i suoi titoli di stato nelle scelte di assets allocation producendo un sensibile aumento del tasso di interesse impone manovre correttive enormi che ovviamente incidono su famiglie e cittadini in termini di maggiori imposte e di minori servizi. La colpa però anche qui in buona parte è nostra perché abbiamo dilapidato in spesa corrente, in interventi a favore dei ceti medi non produttivi, in dissipazioni statali l’enorme risparmio in conto interessi che l’euro ci aveva offerto.
pubblicato sul quotidiano online “Affari Italiani”