Dieci anni fa l’imam radicale egiziano Abu Omar fu rapito a Milano da dieci agenti della Cia che lo trasferirono in Egitto dove avrebbe subito interrogatori e torture. Nel 2003 eravamo in piena emergenza terroristica internazionale e le attività investigative fiorivano. Ieri per quell’esecrabile vicenda sono stati condannati a dieci anni di reclusione l’allora capo del Sismi (oggi Aise), generale Pollari, a nove anni l’allora numero tre del servizio segreto militare e a sei anni tre agenti Sismi. Condannati in media a sette anni di prigione in via definitiva ventidue agenti Cia che a vario titolo parteciparono al sequestro.
La vicenda è molto delicata in quanto vige il segreto di Stato apposto da ben tre governi di vari orientamenti politici, Prodi, Berlusconi e Monti. Tanto che nel 2009 il tribunale di Milano, sulla base delle indicazioni ricevute dalla Corte Costituzionale, aveva rinunciato a giudicare gli uomini del Sismi, così come fece poi nel 2011 il primo processo d’Appello. A settembre del 2012 invece la Cassazione, annullando questo giudizio d’Appello, ne ordinava uno nuovo. Giunto appunto ieri. Ma venerdì scorso il governo Monti aveva già sollevato dinanzi alla Corte Costituzionale il quarto conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proprio contro questa interpretazione settembrina della Cassazione.
La corte d’Appello di Milano senza attendere l’esito della Consulta ha pronunciato però le sue condanne. Se i governi appongono ripetutamente il segreto di Stato sulla vicenda, rifiutando anche di richiedere l’estradizione degli agenti Cia latitanti un motivo c’è di sicuro: è quello della sicurezza nazionale. Gli uomini del Sismi, Pollari è stato per ben cinque anni a capo del servizio di sicurezza militare, si dichiarano estranei ed innocenti, così come l’intero Servizio, ma non possono scagionarsi per via del segreto di Stato. Devono insomma accettare di finire in prigione e di ricevere questa ricompensa dalla società che hanno tutelato e preservato. Altra cosa sarebbe se avessero compiuto reati comuni, ma in questo caso si trovano al centro di una diatriba tra governo e magistratura per la gestione e l’interpretazione del perimetro del segreto di Stato.
Il dossier non è stato ben gestito neppure dai tre governi che si sono alternati. E a questo punto la vergogna è che a finire schiacciati sono i diritti civili dei servitori dello Stato e la mancata prigionia per i responsabili del sequestro dell’iman egiziano avvenuto sul territorio italiano. Il prossimo governo dovrebbe anche chiarire il ruolo del Belpaese visto che gli americani continuano a sostenere che gli stati europei che hanno collaborato nella cosiddetta rendition, la detenzione illegale, sono ben trentacinque e che le operazioni erano concordate.
pubblicato sul quotidiano online ”Affari Italiani”