Rabat, 7 aprile 2008  – E’ un Marocco a due velocità quello che si respira nella medina di Marrakech o nei riad di Casablanca. Da una parte il giovane re Mohammed VI intraprendente e coraggioso come ad esempio quando subito dopo la sua investitura nel 1999 cambiò parte della dirigenza pubblica, rovesciando numerose poltrone che il padre, re Hassan II, aveva contribuito a rafforzare. Amministratori incapaci e sindaci corrotti che nonostante la loro immagine di potere consolidato furono immediatamente sostituiti trascinati dall’irruenza del giovane monarca. Dall’altra un re che si attarda su schemi culturali e modelli gestionali universalmente superati. Questo è il volto dicotomico del Marocco di oggi.  Utile e necessaria la lotta governativa all’analfabetismo che riguarda ben il 40% della popolazione, pari a dodici milioni di marocchini che non sanno né scrivere né leggere. Eppure nonostante questi programmi d’istruzione non è difficile girando per le città costiere o per quelle dell’entroterra vedere i ragazzini vestiti con grembiuli dall’aspetto unici e con i libri sofferti tra le mani che, anziché recarsi nelle giuste aule, giocano nelle strade polverose ma atavicamente attraenti. Si sa che la scolarizzazione è dappertutto un processo lungo e difficile. La rimozione dei sindaci corrotti e la sottrazione all’ignoranza dei marocchini ha scatenato le ire dei signori e dei piccoli boss locali che per l’ulteriore sviluppo dei propri affari puntavano sulla prosecuzione dello status quo. Sono costoro, a detta dei più, ad aver diffuso indiscrezioni sul monarca, mal digerite nel mondo islamico.   Se nel Paese, tra la classe dirigente nazionale e locale, è in atto una vistosa frizione, all’esterno la posizione della monarchia costituzionale non è univoca. Da una parte c’è la sicura amicizia della solita Arabia Saudita che ha contribuito a modernizzare il Paese e di cui felice esempio è il finanziamento della splendida Moschea Hassan II a Casablanca realizzata in soli sette anni, e che oggi continua a sovvenzionare l’economia marocchina attraverso concessioni di favore del petrolio. Ma dall’altra parte ci sono i problemi insoluti del Paese di cui i marocchini non parlano. Anzi, per essere precisi, sono due le cose di cui i marocchini non possono parlare, del re e del Sahara occidentale occupato dal 1975. Addirittura i prefetti hanno avvisato le locali guide turistiche di essere informati su eventuali pressanti domande da parte dei visitatori. Ancora più difficile trovare chi voglia rilasciare dichiarazioni o interviste per paura delle ritorsioni. Eppure un re che vuole innovare la cultura della società, che conduce una delle economie potenzialmente migliori dell’Africa non può scivolare sul dossier Sahara occidentale. Chiuso infruttuosamente nei giorni passati il quarto round di colloqui tra il governo di Rabat e il Fronte Polisario, Mohammed VI dovrebbe consentire passi avanti verso misure concordate di autodeterminazione territoriale, semmai sotto il controllo degli osservatori internazionali necessari per impedire eventuali azioni pilotate dall’Ageria. Nel 2003 il re del Marocco ha coraggiosamente condannato l’intervento armato in Iraq, sovvertendo i legami storici con gli Usa e i suoi alleati arabi. A questo punto non può più fermarsi.