Roma – In Italia una piccola percentuale di cittadini gestisce la maggior parte della ricchezza nazionale, come accade nel resto del pianeta. Ma la cosa ancor più grave è che questa disparità si ripropone anche nel mondo dei libri: il 14% degli acquirenti di libri genera il 41% delle vendite, con una media di un libro  al mese. La maggior parte degli italiani, invece,  legge ogni anno non più di tre libri. Solo i ragazzi fino a 14 anni leggono sempre di più, controvertendo le continue analisi sociologiche che vedono i beni tecnologici di consumo alternativi e sostitutivi dei libri. Nella maggior parte dei casi i luoghi di acquisto preferiti sono le catene di librerie, in franchising o in network mentre le piccole librerie di quartiere gestite familiarmente cedono il passo. L’avvento di un pubblico sempre più multicanale non consente loro di proseguire a trarre reddito dall’attività. Nella grande distribuzione organizzata  il calo delle vendite dei prodotti alimentari si è propagato anche tra gli scaffali dei libri nonostante il costante sconto applicato tutto l’anno che genera forti frizioni con i rappresentanti delle librerie. Sempre più numerosi sono gli italiani che acquistano online e nelle edicole fortificando la tesi dell’allargamento dell’offerta come premessa dell’allargamento della domanda.  Se è vero che nel corso del 2008 il fatturato complessivo dell’editoria italiana è crollato del 3% e in termini di titoli pubblicati del 12% sono tutti d’accordo che senza le promozioni e la multicanalità la caduta sarebbe stata ben più robusta. La speranza è che anche nel mondo dei giornali possa replicarsi questa ramificazione dell’offerta.  Ogni giorno sono pubblicati 162 nuovi libri con una tiratura media di circa 4000 copie a libro. Forse l’editoria italiana dovrebbe recuperare il senso della qualità nella produzione ed elevare il numero delle copie stampate per permettere diffusione nazionale e possibilità di successo ad un autore. Altrimenti è davvero difficile emergere, a meno che lo scrittore, il libro o il suo contenuto non rientrino nelle logiche di marketing predisposte dalle tre più forti case editrici.   Nel settore aumenta la cessione di titoli italiani all’estero e diminuiscono le traduzioni dei titoli esteri. I libri italiani più richiesti all’estero, per lo più in Europa,  sono quelli relativi ai libri per bambini, ai libri di saggistica e dell’editoria illustrata in cui evidentemente la vena artistica continua ad essere il nostro più apprezzato valore aggiunto. Su oltre 10mila case editrici registrate nel Belapaese, quelle realmente organizzate sul mercato sono 2.600, forse troppe in un mercato così ristretto. Se gli imprenditori  editoriali si riunissero, superando antiche rivalità e gelosie, arrivando a circa 800 competitor, il settore crescerebbe in termini di qualità produttiva e di copie stampate perché non dimentichiamo che la lingua italiana è poco diffusa nel mondo e la produzione libraria ne risente sempre di più. Non siamo il Regno Unito che stampa oltre 120mila nuovi titoli all’anno  che troviamo negli scaffali di tutto il mondo.  Sarebbe opportuno che anche il Parlamento se ne occupasse elaborando degli incentivi alla riunificazione delle minute case editrici o dei disincentivi alla permanenza delle singole realtà che complessivamente coinvolgono 38mila lavoratori nell’intera filiera. I forti segnali di crisi occupazionale evidenti sin dal 2008 dovrebbero spingere la politica ad occuparsi seriamente del problema, altrimenti a rimanere disoccupati non saranno solo i collaboratori esterni, i grafici e gli illustratori.