Napoli, 29 aprile 2008 – E’ sufficiente un solo viaggio sul treno Reggio Calabria-Roma per verificare la quantità di giovani meridionali che si trasferisce al centro nord per lavorare. Da dieci anni è ripresa la spinta migratoria delle giovani generazioni verso la parte alta del stivale. Sono giovani scolarizzati, con lauree e talvolta con master di primo o secondo livello che offrono il loro sapere alle imprese settrentrionali. Svuotano il Sud di conoscenza e molti di loro se ne vanno a malincuore, avvolgendo di tristezza il proprio cuore. Nelle proprie terre difficilmente potrebbero ricevere uno stipendio e talvolta anche uno stipendio regolare. L’imprenditore al Sud è abituato ad arrangiarsi. Certo non tutti ma una gran fetta ragiona così. Eppure chi sopravvive e non viene emarginato nell’agguerrito mercato di consumo meridionale è un eroe. Tra criminalità comune, mafia, camorra e ‘ndragheta, tra corruzione della pubblica amministrazione e ataviche lentezze burocratiche perire è molto semplice. Qualche giorno fa l’Istat ha diffuso i dati sul lavoro relativi al 2007 che rivelano un quadro che peggiora sempre più. E da tanti, troppi, anni che la crisi economica si allarga e devasta le coscienze. Ormai la mancanza di lavoro distrugge la vita. Il tasso di occupazione, cioè il rapporto tra gli occupati e la popolazione in età 15-64 anni a Napoli è pari al 41%. Ciò vuol dire che nella città partenopea solo quattro persone su dieci lavorano. A Bari, il miglior piazzamento meridionale, quasi cinque persone, mentre a Bologna e a Milano sono sette persone su dieci a portare lo stipendio a casa. Ad essere meno occupate nel Belpaese sono proprio le donne campane, solo tre su dieci lavorano. Un quadro spaventoso. Un’onda terrificante che dal Sud si espande per la pianura padana e si ferma alle Alpi. E’ l’onda della disoccupazione, della mancanza di lavoro, del crollo di ogni speranza. E’ uno tsunami economico e sociale impressionante. Gli economisti e gli esperti, per ultimo Tiziano Treu, sostengono che se il Sud non cresce non cambia nulla per l’Italia. Eppure le varie programmazione europee hanno convogliato negli ultimi quattordici anni fiumi di denaro pubblico ma il pil non è crescituo, anzi. Classe dirigente impreparata, scelte di politica economica nefaste, assenza di investimenti nelle infrastrutture e nei servizi i principali imputati. Ma il pericolo maggiore viene dall’assenza di speranza dei meridionali in generale e dei giovani in particolare. Nessuno vede vie d’uscita per il Sud se non la porta di un treno che si apre e ti conduce nel faticoso ma sicuro benessere padano.