Gestioni manageriali fallimentari e patrimonio sotto i minimi di legge hanno catapultato due banche italiane verso la strada del fallimento evitata solo grazie all’utilizzo della procedura di insolvenza applicata secondo le regole della liquidazione coatta amministrativa. Veneto Banca e Banca Popolare Vicenza incapaci di presentare un credibile piano di ricapitalizzazione sono passati alla liquidazione ordinata sotto diretto e continuo controllo della Banca centrale europea, delle competenti direzioni generali della Commissione europea e della Banca d’Italia. In ballo 511 filiali e 5400 dipendenti per la Popolare di Vicenza in aggiunta alle 481 filiali e 4150 dipendenti della Veneto Banca. Oltre a 20 miliardi di euro di depositi e 10 miliardi di obbligazioni non subordinate in circolazione. Il ricco Veneto, spesso usato nel passato per descrivere comportamenti o modelli economici virtuosi mostra tutti i suoi limiti, alla stregua purtroppo delle altre regioni italiane. Sul piano delle sofferenze i dati si equivalgono, 5186 miliardi di euro contro i 4979 miliardi della Veneto Banca. Grazie al decreto del governo Gentiloni le attività sane vanno a Banca Intesa, unica ad aver presentato una offerta al costo simbolico di un euro e la massa delle sofferenze e dei crediti dubbi nella cosiddetta Bad Bank garantita dallo Stato italiano. Altro che in Spagna dove in una notte il Banco di Santander ha inglobato integralmente il decotto Banco Popular anche nei crediti sofferenti. Nel Belpaese si continuano invece a fare regali alle banche. Banca Intesa ha pagato un euro i due brand, i 900 sportelli e per la massa creditoria, quella buona. Il resto, la stima arriva a 17/18 miliardi di euro, a carico del bilancio statale. In alternativa all’euro ci sarebbe stata solo la grave soluzione imposta dall’Unione Europea, il bail-in.

Intesa Sanpaolo riceverà 3,5 miliardi di euro per accrescere il patrimonio, 1,2 miliardi per la gestione degli esuberi lavorativi e fino a 12 miliardi come garanzia per i crediti che dopo la valutazione dei torinesi potrebbero essere retrocessi al Tesoro. In campo la Sga del MEF, il Ministero dell’Economia, ben nota per aver ripulito il bilancio del Banco di Napoli dai crediti ritenuti in prima istanza di difficile ritorno ma grazie ad accordi extragiudiziali rientrati dopo due decenni al 92%. Certo il governo spera di recuperare a medio termine circa 5 miliardi per ridurre al minimo, se non azzerare, il vero costo del salvataggio. Verificheremo ex post  quanto questa operazione sia costata alle casse pubbliche e quali azioni di responsabilità civile e penali il paese ha messo in piedi contro i manager che hanno sfasciato le due banche venete.